I 2 errori da evitare nel processo di Coaching che riguardano l’influenza dell’esperienza e dell’intuito del coach.
Il coach strategico dovrebbe rimanere sempre scevro dal giudizio e dai preconcetti, ma non è così facile. Si pensa che l’intuito e l’esperienza conducano a velocizzare il processo di cambiamento. In realtà, espongono il cliente a farsi deviare troppo verso gli obiettivi del consulente piuttosto che verso i propri.
Il pensiero strategico
Il modello strategico ci insegna a seguire un processo rigoroso che permetta di non interferire con il coachee. Ovvero, l’obiettivo del coach strategico è condurre il cliente a trovare in autonomia le proprie soluzioni. A prima vista potrebbe sembrare, quindi, che l’intuito e l’esperienza siano completamente inutili. Ma non è proprio così. Vediamo come funziona.
Il pensiero strategico segue il metodo scientifico, quindi un processo in cui il coach (come scienziato) deve interferire il meno possibile. Per il Principio di Indeterminazione di Heisenberg, l’osservatore cioè lo scienziato che misura non può mai essere considerato un semplice spettatore. Il suo intervento nel verificare i risultati produce degli effetti non calcolabili, dunque un’indeterminazione che non si può eliminare.
Pertanto, il coach strategico dev’essere semplicemente un facilitatore del cambiamento del cliente.
In che modo l’intuito e l’esperienza ci possono aiutare?
Lo scienziato fa comunque delle ipotesi, ma non le prende per definitive, in quanto deve verificarle attraverso la ricerca. Nel nostro caso, fare ricerca non significa dare risposte o suggerimenti al coachee. Piuttosto, si tratta di porre le domande giuste al momento giusto. Poi, ascoltare attentamente le risposte del cliente, per porre le successive domande. Il tutto “condito” da linguaggio metaforico e parafrasi ristrutturanti per poterlo guidare senza sforzo verso il cambiamento desiderato.
È questo il grande e semplice segreto strategico!
I 2 principali errori da evitare nel coaching
Esistono 2 errori da evitare che posso presentarsi in maniera ricorrente nei coach meno attenti:
- Il bias di conferma: il coach è talmente convinto della sua ipotesi che dà consigli sulla base della propria esperienza personale. Di tutto quello che uscirà dalla bocca del cliente il coach prenderà per “vere” solo le affermazioni che confermino la sua ipotesi iniziale. In altre parole, cade nel cosiddetto effetto “Cherry Picking”.
- Il bias di autorità: il coach esprime qualche parere non dovuto. Così il coachee si convince di ciò che è stato “sancito” perché si fida del “guru” e viene portato completamente fuori strada.
Questi 2 bias sono trappole molto subdole, in quanto si autoalimentano costantemente in maniera circolare.
Come evitare queste 2 trappole?
Ancora una volta dobbiamo ribadire la centralità e l’unicità della persona ed ascoltare quello che ci porta senza preconcetti. È fondamentale evitare di fare ipotesi definitive precoci e aspettare di aver ascoltato il coachee attentamente, verificandole continuamente.
Il processo di Problem Solving, che è un metodo rigoroso ma flessibile al tempo stesso, scongiura questo tipo di errori grazie alla sua logica circolare e alla sua autocorrettività. Ciò permette al coach di dare modo al coachee di individuare quale sia il suo reale obiettivo. In altri termini, la maggior parte dei clienti non ha ben chiaro quale sia il porto in cui approdare, ma lo definisce durante il percorso di coaching stesso. Pertanto, se il coach si fossilizzasse su ciò che è emerso ad inizio consulenza porterebbe fuori strada se stesso e il suo coachee.
Paradossalmente, coach alle prime armi che seguono pedissequamente il processo raggiungono risultati migliori di consulenti con molta esperienza alle spalle, ma che si fidano soltanto del loro intuito.
In conclusione
I coach di alto livello, quindi, sono coloro che hanno un buon intuito, tanta esperienza e riescono comunque a seguire in maniera rigorosa il processo, in quanto è comunque difficile riuscire ad evitare giudizi e consigli non richiesti.
